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Cemento Pt. 4

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Lizzy corse dentro l’edificio, per raggiungere la sua amica, ancora un po’ shockata. Era la seconda volta che parlava con Edward quel giorno.
Al bar ordinò un frappucino con panna.
Raccontò l’accaduto a Fei,  che le espresse la sua ammirazione e invidia per essere amica di una ragazzo così in vista.
“E sarebbe fortuna?” Si chiese Lizzy.
Per lei era più una seccatura, visto il disagio che provava ad avere sempre gli occhi degli altri studenti puntati addosso.
-Cavoli, Lizzy! Non fare quella faccia! Le ragazze pon pon fanno la fila solo per dirgli ciao e tu sei infastidita se ti parla. Proprio non ti capisco.- commentò Fei, sorseggiando il caffè. –Ma perché ti è così antipatico?-
-Non lo so.. -ammise Lizzy. –Praticamente sono cresciuta con lui, lo conosco da sempre, non dovrei avere problemi a relazionare con Edward, il fatto è che mi mette in soggezione. Insomma, lo vedo da me che è il ragazzo più bello della scuola ed attira l’attenzione di tutti al suo passaggio..- si rigirò nervosamente la tazza tra le mani. -Il fatto che mi parli, attirando l’attenzione anche su di me mi infastidisce. Lo sai quanto ci tenga a non apparire troppo.. Non mi piacciono gli sguardi curiosi puntati addosso.  Soprattutto quando i tuoi problemi diventano di dominio pubblico e tutti ti stanno appresso, con la scusa di volerti aiutare, mentre vogliono solo ficcare il naso nei tuoi affari. Sai a cosa mi riferisco..- alzò lo sguardo, un po’ velato di tristezza.
-Oh, Lizzy, scusami! Non stavo recriminando. Sono solo un po’ invidiosa che tu sia amica di un così bel ragazzo!- sorrise, mentre le passava il braccio attorno alle spalle, con fare affettuoso.
-Amica.. conoscente, direi.-
-Beh, quello che è. Se ti viene voglia di parlare di quei brutti problemi, o ti vengono pensieri strani, me ne parli, vero?-
-Certo, lo sai che ti dico sempre tutto. Sei la mia terapeuta!- le sorrise di rimando, con gratitudine.
Fei fece un gesto vago con la mano, come per scacciare il discorso. –Senti, domani andiamo a fare shopping? Ho visto un paio di scarpe troppo belle, al centro commerciale.. E poi potremmo, casualmente, incontrare Haiter.. Lavora al negozio di animali. Me l’ha detto Marcy, che l’ha visto la settimana scorsa. Non sarebbe strano trovarlo in giro, magari mentre fa una pausa..- le sorrise maliziosa.
-E perché mai dovrebbe interessarmi il fatto di incontrare Haiter?- le guance pallide cominciarono a prendere colore. –Siamo solo amici.. Lo vedo praticamente tutti i giorni..-
-Si, si. Come vuoi. Lo so che siete SOLO amici.- lo sguardo di Fei si velò di malizia. -Però domani vieni con me.- il tono non ammetteva repliche. –Ho bisogno di una consulenza!-
-E io ti dovrei fare da consulente? Guarda, forse stai sbagliando indirizzo. Non mi intendo affatto di moda, lo sai. Non so fare shopping. Io compro abiti solo se ne ho strettamente bisogno.- la guardò di sottecchi, un po’ infastidita dal sorrisino che si stava dipingendo sul viso dell’amica, e sorpresa dal suo stomaco che faceva un po’ di capriole.
-Tu ti sottovaluti, mia cara! Ho deciso. Domani pomeriggio vengo da te appena dopo pranzo e ci prepariamo assieme per la nostra uscita.-
-Ma io.. Veramente avrei dei compiti da fare.. Sono in dietro con algebra e sai che sono impedita con i numeri..- Lizzy cercò di frenare l’entusiasmo dell’amica, ma con scarso successo.
-Oh, beh, l’algebra può aspettare, sennò chiedi una mano a tuo fratello. Ti adora, lo farà di sicuro. Comunque so per certo che Suzy è interessata all’articolo. Me l’ha detto sempre Marcy. Passa metà dei suoi pomeriggi al negozio di animali a chiedere consigli su come allevare il suo gatto. Ma dico io, che scusa banale. Si vede lontano un chilometro che muore dietro a quella massa muscolare e chiassosa. Tu vieni.- tagliò corto Fei.
-Certo che ne sa di cose Marcy.. ma i fatti suoi mai?- lo stomaco fece un'altra capriola prima di stringersi ed impedirle di finire la sua bevanda. –Vabbè, vengo.. ci sentiamo stasera per metterci d’accordo.- la infastidiva l’idea di Suzy al negozio di animali. Voleva controllare con i suoi occhi.
Finirono le bevande e si divisero per le lezioni pomeridiane.
Aveva iniziato a piovere.
Fuori imperversava il diluvio e Lizzy maledì più volte Futah per aver detto che sarebbe piovuto.
Lizzy aveva il corso di musica e le prove con la banda; Fei il corso di biologia e un progetto sperimentale di storia.
Il pomeriggio volò.


Raggiungere l’autobus era stata un’impresa e trovare posto fu ancora più difficile.
La tasca dei pantaloni prese a vibrare mentre girava lo sguardo sull’autobus in cerca di un posto libero.
Un messaggio da Fei. “Oggi non riesco a venire. Mia madre ha appena mandato un sms dove dice che ha ospiti e mi vuole a casa. Che rottura. Ti chiamo più tardi. Bacio.”
Squillo di ricevuta, aveva le mani bagnate e il telefono scivolava.
Non ci voleva.
Era ancora in piedi quando il mezzo partì e si dovette appoggiare ad un sedile per non cadere.
Girò di nuovo lo sguardo cupo sui sedili per trovare posto.
Alla fine si sedette accanto ad un tipo pieno di brufoli e stracarico di libri.
Quando il ragazzino spostò lo zaino per farla sedere, un po’ intimidito dall’espressione truce che aleggiava sul suo volto, lei gli sorrise grata lasciandolo sorpreso.
Grondava acqua da tutte le parti e si scusò col compagno di posto.
Infilò, per l’ennesima volta in quella giornata, gli auricolari dell’i-Pod e si abbandonò sul sedile a guardare le gocce che battevano sul finestrino, contando le fermate dell’autobus prima della sua.
Si tolse il berrettone fradicio e ravvivò un po’ i capelli che le stavano dritti sulla testa.
Quando il ragazzino scese, lei si appropriò del sedile, tirando su i piedi e appoggiando la testa al vetro. Lo sguardo perso sull’asfalto luccicante che scorreva sotto le auto.
Mancavano ancora un paio di fermate prima della sua.
Quando scese dal bus, la pioggia aveva rallentato la sua corsa verso l’asfalto ed aveva lasciato spazio ad una pioggerellina fine e fastidiosa, che si infilava in ogni angolo e piega dei vestiti.
Lungo la via si vedevano villette e casette, con giardinetti e cancellate.
Il tipico quartiere per bene.
Le auto parcheggiate nei vialetti o lungo i bordi della strada. Dalle finestre si intravedevano gli interni ordinati di cucine e salotti, da qualche casa in fondo alla via arrivava della musica, probabilmente i Carter davano una festa, come succedeva spesso nei fine settimana.
Aveva freddo e fame.
Quella non era affatto la sua giornata.
Stava percorrendo i cento metri che separavano la fermata dal vialetto di casa sua, quando le si affiancò un auto.
Il clacson risuonò in segno di saluto.
Sapeva già chi era alla guida senza girarsi e salutò con un cenno della mano.
...
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